mercoledì 18 maggio 2016

Edward Thomas - Adlestrop (1917)




Quando ho cominciato a musicare poesie della tradizione britannica mi sono detto due cose:
 
1. L'idea in sé è sbagliata; e tuttavia –
2. Magari mi aiuterà a capire meglio le poesie che metto in musica.
 
Ma per quanto il secondo punto mi sembrasse plausibile, non ci ho creduto davvero finché non sono arrivato a Edward Thomas. Sfogliavo, come mi capita in questi giorni, le pagine dei due volumi della Norton Anthology, in cerca di poesie non troppo lunghe e non troppo ritmicamente discontinue. Arrivato ai poeti della prima guerra mondiale, ecco i soliti noti: Siegfried Sassoon, troppo stridente e indignato; Wilfried Owen, troppo forte per i miei accordi, almeno per ora; Isaac Rosenberg, troppo articolato e ironico. Insieme a loro c'era Edward Thomas, e fra le poesie di questo londinese di famiglia gallese c'era “Adlestrop”. Eccola qua, in originale e in traduzione:
 
Yes, I remember Adlestrop
The name, because one afternoon
Of heat, the express-train drew up there
Unwontedly. It was late June.

The steam hissed. Someone cleared his throat.
No one left and no one came
On the bare platform. What I saw
Was Adlestrop – only the name.

And willows, willow-herb, and grass,
And meadowsweet, and haycocks dry,
No whit less still and lonely fair
Than the high cloudlets in the sky.

And for that minute a blackbird sang
Close by, and round him, mistier,
Farther and farther, all the birds
Of Oxfordshire and Gloucestershire.
 

Sì, mi ricordo di Adlestrop –
il nome, quel pomeriggio
di caldo, l'espresso che di solito
non ci si fermava. Fine giugno.
 
Uno sbuffo di vapore, un colpo di tosse.
Nessuno scendeva o saliva
dal binario spoglio. Quel che vedevo
era Adlestrop – il nome e basta.
 
E i salici, i fiori e i fili d'erba,
l'olmaria e il fieno asciutto,
non meno belli e solitari
delle nuvole alte in cielo.
 
E poi d'un tratto cantò un merlo
lì vicino, e poi più vaghi
intorno a lui tutti gli uccelli
di Oxfordshire e Gloucestershire.
 
Non avevo mai capito cosa ci facesse, Edward Thomas, in compagnia degli altri. Vero che era morto in battaglia nel 1917; ma per il resto, cosa c'entrava lui con gente come Owen e Rosenberg? Le sue poesie non parlavano di guerra, ma di stazioni ferroviarie di campagna. “Adlestrop” avevo provato a leggerla e non ne avevo capito il senso – cioè, non avevo capito il movente che aveva spinto Thomas a scriverla, e quelli della Norton Anthology, e di molte altre antologie, a includerla. Mentre Owen e Sassoon raccontavano i corpi straziati in battaglia, Edward Thomas parlava di un viaggio in treno e di una fermata in un paesino dal nome bislacco. Dov'era, in questa piccola poesia, la grandiosità dei temi e la forza dei sentimenti che mi aspettavo dalla grande poesia? Cosa ci faceva, “Adlestrop”, a poche pagine di distanza da T.S. Eliot e W.B. Yeats?
 
Quando l'ho cantata, e mi sono dovuto far rotolare le parole sulla lingua, ho capito. Quel che sembra casuale è in realtà casual, informale, colloquiale e perfetto. La prima strofa, come tutto il resto, è già un capolavoro di adattamento della forma alla sostanza – anzi, la prima strofa è forma che diventa sostanza.

Yes, I remember Adlestrop
The name, because one afternoon
Of heat, the express-train drew up there
Unwontedly. It was late June.
 
Come il sonetto 18 di Shakespeare, questa poesia comincia come se continuasse – ma con un senso dialogico ancora più forte, perché sembra che chi parla stia rispondendo a qualcuno. Prima ancora di sapere dove ci troviamo, arriva il verbo “remember”, che ci trasporta immediatamente nel passato. Le forme verbali “drew up” e “was” confermano che questa poesia è rivolta indietro, come anche il complemento “one afternoon” e l'avverbio “unwontedly” (insolitamente). E non si tratta di un passato recente, di una cosa accaduta da poco e separata dal presente solo per via dell'atto della scrittura. Questo è un ricordo – un piccolo avvenimento remoto.
 
Che cos'è che rende chiaro che questa quartina è elegiaca? Difficile da dire con precisione, ma deve avere a che fare con quell' “Yes, I remember” iniziale – qualcuno gli ha chiesto se se la ricorda, Adlestrop? E poi con la vaghezza della collocazione temporale (“one afternoon”) e dei ricordi (solo il nome, ha in mente, probabilmente perché ha visto il cartello), nonché con il tempo atmosferico sospeso, fermo come il treno (“heat”, “drew up there”, “It was late June”). E infine, ed è qui che la forma diventa sostanza, sono i versi stessi, chissà come, a suonare elegiaci. Un solo periodo, quattro frasi colloquiali che corrono l'una nell'altra per mezzo di inarcature. Il ritmo è regolare ma continuamente variato, da quel primo tetrametro giambico con inizio trocaico a quel quarto così perfettamente giambico ma spezzato in due, passando per il secondo anch'esso giambico (ma spezzato dopo il primo quarto) e per il terzo che ha nove sillabe (ma secondo le regole della metrica sillabico-accentativa, è comunque un tetrametro perché “there” non è accentata). E poi ci sono quelle parole ed espressioni isolate dal resto: “Yes”, “the name”, “unwontedly”; e la parola “Adlestrop”, che dovrebbe essere ridicola e riesce a suonare perfetta. Non c'è quasi bisogno di sapere che questa poesia esce proprio nel 1917, per sentire che celebra un mondo amato e lontanissimo.
 
Ben prima che Edward Thomas elenchi alberi e piante dell'Inghilterra rurale, ben prima di quegli uccelli dell'Oxfordshire e Gloucestershire dell'ultimo verso (e il riferimento alle contee è di per sé nostalgico), la fondamentale elegiaca è già risuonata all'orecchio del lettore (se quel lettore è diverso da me, e ha l'orecchio buono). Per questo è sembrato giusto scrivere e arrangiare una canzone pacata, bucolica, armonicamente statica.
 
Buon ascolto.

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