sabato 7 maggio 2016

William Shakespeare - Sonnet 130



Il sonetto 130 di Shakespeare, per quel che mi riguarda, si incentra sull'effetto presa di corrente. Per chi ha figli, nipoti, o bambini per casa, la spiegazione è immediata. Quando il bambino è ancora piccolo ma non più in fasce, in quel periodo della vita in cui è capace di quasi tutto ma non capisce quasi niente, gli adulti sono costretti a modificargli il mondo intorno perché non si uccida - e quando il mondo non si può modificare, a fargli capire con il tono appropriato che se tocca il fuoco si fa molto male, se si sporge dalla finestra muore. Ora, a molti di voi sarà capitato di additare a un bambino una presa di corrente, dicendo: "No!" o "Cacca!". Se vi è capitato, sapete bene che il bambino non sente il divieto, ma vede quello che indica il dito - e l'oggetto o luogo in questione diventa immediatamente irresistibile. A salvare la vita dei nostri figli, di fatto, non è un buon progetto educativo, ma il progresso nell'isolamento elettrico.

"My mistress' eyes are nothing like the sun" funziona così, fin dal primo verso. Quel che ci dice il tizio che scrive, che parla - anche qui noi sentiamo una voce originale, forte, sfrontata, e quindi ci pare di sentire un tizio che parla - è che gli occhi della sua donna, al sole, non somigliano proprio per niente. La donna è la "dark lady", la seconda figura non convenzionale celebrata nei sonetti insieme al "fair youth" del 18 e degli altri componimenti omoerotici. Questa signora è per l'appunto scura, non diafana come si conviene ("If snow be white, why then her breasts are dun"); ha i capelli neri e grossi che le crescono in testa come fossero erbacce ("if hairs be wires, black wires grow on her head"); non ha quel piacevole rossore sulle guance che deve avere la donna petrarchesca ("But no such roses see I in her cheeks"); ha un alito forte, forse addirittura sgradevole (e del resto, non è che l'igiene personale dell'Inghilterra elisabettiana fosse paragonabile alla nostra); e non cammina sollevata dal suolo come una dea ("My mistress when she walks treads on the ground").

E tuttavia: quel che sentiamo se ascoltiamo la voce del tizio, se leggiamo il sonetto ad alta voce, se ascoltiamo la canzone qui sopra, è anche una serie di termini positivi, tradizionalmente "solari", spesso sistemati nei punti cruciali dei versi: sun, red, white, cheeks. E anche se la persona del poeta ci dice che la sua donna non è una dea, il paragone rimane, e la parola goddess sta lì, molto vicina a mistress. Il modo in cui gli umani usano il linguaggio non è solo logico-razionale, per cui l'effetto sul lettore, al di là dell'argomentazione, dipende anche dalla versificazione così armoniosamente scorrevole (si veda il primo verso, con i suoi suoni sibilanti, le sue vocali rotanti e il ritmo giambico quasi perfetto), dalla struttura perfettamente bilanciata (i primi quattro versi sono leggibili singolarmente; seguono otto versi che vanno letti a coppie e il distico finale che contraddice il resto) e dalla collocazione delle parole. Ha un bel dirci, il tizio, che la sua donna non è niente di speciale; vicino ai termini negativi (si veda soprattutto quel reeks alla fine dell'ottavo verso) si affollano parole dalla connotazione positiva, che il nostro cervello non può fare a meno di associare alla donna. Molto prima del distico conclusivo, abbiamo il sospetto che la signora in realtà non sia niente male. Provate a sentire, alla fine della canzone, l'effetto del coretto che dice "She's nothing like the sun" (unica frase aggiunta).

My mistress' eyes are nothing like the sun;
Coral is far more red than her lips' red;
If snow be white, why then her breasts are dun;
If hairs be wires, black wires grow on her head.
I have seen roses damasked, red and white,
But no such roses see I in her cheeks;
And in some perfumes is there more delight
Than in the breath that from my mistress reeks.
I love to hear her speak, yet well I know
That music hath a far more pleasing sound.
I grant I never saw a goddess go;
My mistress when she walks treads on the ground.
And yet, by heaven, I think my love as rare
As any she belied with false compare.

Gli occhi della mia donna non c'entrano col sole;
non c'entrano col rosso del corallo le sue labbra;
se la neve è bianca, beh, i seni son sul grigio;
se i capelli son fili, ha corde nere sulla testa.
Ho visto rose damascate, rosse e bianche,
ma a lei nessuna rosa vedo sulle guance;
e certi profumi danno molto più piacere
del fiato forte che la mia donna esala.
Adoro la sua voce, ma so bene
che la musica ha un suono ben più dolce.
Non ho mai visto, devo dire, il passo di una dea;
la mia donna, quando passa, incede sulla terra.
Eppure, per gli dei, trovo il mio amore raro
più di tanti altri proclamati senza pari.

Per questo ribaltamento dei cliché sonettistici, tutto sommato scherzoso, è sembrato appropriato il pop britannico degli anni Ottanta, nella sua versione più leggera e solare. Certe cose di Lloyd Cole, insomma, o le canzoni in maggiore di The The. O gli Smiths, se si fa astrazione dai testi di Morrissey.

Insomma: buon ascolto.

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