Quando ho cominciato a musicare poesie
della tradizione britannica mi sono detto due cose:
1. L'idea in sé è
sbagliata; e tuttavia –
2. Magari mi aiuterà a capire meglio
le poesie che metto in musica.
Ma per quanto il secondo punto mi
sembrasse plausibile, non ci ho creduto davvero finché non sono
arrivato a Edward Thomas. Sfogliavo, come mi capita in questi giorni,
le pagine dei due volumi della Norton Anthology, in cerca di poesie
non troppo lunghe e non troppo ritmicamente discontinue. Arrivato ai
poeti della prima guerra mondiale, ecco i soliti noti: Siegfried
Sassoon, troppo stridente e indignato; Wilfried Owen, troppo forte
per i miei accordi, almeno per ora; Isaac Rosenberg, troppo
articolato e ironico. Insieme a loro c'era Edward Thomas, e fra le
poesie di questo londinese di famiglia gallese c'era “Adlestrop”.
Eccola qua, in originale e in traduzione:
Yes, I remember Adlestrop
The name, because one afternoon
Of heat, the express-train drew up
there
Unwontedly. It was late June.
The steam hissed. Someone cleared his throat.
No one left and no one came
On the bare platform. What I saw
Was Adlestrop – only the name.
And willows, willow-herb, and grass,
And meadowsweet, and haycocks dry,
No whit less still and lonely fair
Than the high cloudlets in the sky.
And for that minute a blackbird sang
Close by, and round him, mistier,
Farther and farther, all the birds
Of Oxfordshire and Gloucestershire.
Sì, mi ricordo di Adlestrop –
il nome, quel pomeriggio
di caldo, l'espresso che di solito
non ci si fermava. Fine giugno.
Uno sbuffo di vapore, un colpo di
tosse.
Nessuno scendeva o saliva
dal binario spoglio. Quel che vedevo
era Adlestrop – il nome e basta.
E i salici, i fiori e i fili d'erba,
l'olmaria e il fieno asciutto,
non meno belli e solitari
delle nuvole alte in cielo.
E poi d'un tratto cantò un merlo
lì vicino, e poi più vaghi
intorno a lui tutti gli uccelli
di Oxfordshire e Gloucestershire.
Non avevo mai capito cosa ci facesse,
Edward Thomas, in compagnia degli altri. Vero che era morto in
battaglia nel 1917; ma per il resto, cosa c'entrava lui con gente
come Owen e Rosenberg? Le sue poesie non parlavano di guerra, ma di
stazioni ferroviarie di campagna. “Adlestrop” avevo provato a
leggerla e non ne avevo capito il senso – cioè, non avevo capito
il movente che aveva spinto Thomas a scriverla, e quelli della Norton
Anthology, e di molte altre antologie, a includerla. Mentre Owen e
Sassoon raccontavano i corpi straziati in battaglia, Edward Thomas
parlava di un viaggio in treno e di una fermata in un paesino dal
nome bislacco. Dov'era, in questa piccola poesia, la grandiosità dei
temi e la forza dei sentimenti che mi aspettavo dalla grande poesia?
Cosa ci faceva, “Adlestrop”, a poche pagine di distanza da T.S.
Eliot e W.B. Yeats?
Quando l'ho cantata, e mi sono dovuto
far rotolare le parole sulla lingua, ho capito. Quel che sembra
casuale è in realtà casual,
informale, colloquiale e perfetto. La prima strofa, come tutto il
resto, è già un capolavoro di adattamento della forma alla sostanza
– anzi, la prima strofa è forma che diventa sostanza.
Yes, I remember Adlestrop
The name, because one afternoon
Of heat, the express-train drew up
there
Unwontedly. It was late June.
Come il sonetto 18 di Shakespeare,
questa poesia comincia come se continuasse – ma con un senso
dialogico ancora più forte, perché sembra che chi parla stia
rispondendo a qualcuno. Prima ancora di sapere dove ci troviamo,
arriva il verbo “remember”, che ci trasporta immediatamente nel
passato. Le forme verbali “drew up” e “was” confermano che
questa poesia è rivolta indietro, come anche il complemento “one
afternoon” e l'avverbio “unwontedly” (insolitamente). E non si
tratta di un passato recente, di una cosa accaduta da poco e separata
dal presente solo per via dell'atto della scrittura. Questo è un
ricordo – un piccolo avvenimento remoto.
Che cos'è che rende chiaro che questa
quartina è elegiaca? Difficile da dire con precisione, ma deve avere
a che fare con quell' “Yes, I remember” iniziale – qualcuno gli
ha chiesto se se la ricorda, Adlestrop? E poi con la vaghezza della
collocazione temporale (“one afternoon”) e dei ricordi (solo il
nome, ha in mente, probabilmente perché ha visto il cartello),
nonché con il tempo atmosferico sospeso, fermo come il treno
(“heat”, “drew up there”, “It was late June”). E infine,
ed è qui che la forma diventa sostanza, sono i versi stessi, chissà
come, a suonare elegiaci. Un solo periodo, quattro frasi colloquiali
che corrono l'una nell'altra per mezzo di inarcature. Il ritmo è
regolare ma continuamente variato, da quel primo tetrametro giambico
con inizio trocaico a quel quarto così perfettamente giambico ma
spezzato in due, passando per il secondo anch'esso giambico (ma
spezzato dopo il primo quarto) e per il terzo che ha nove sillabe (ma
secondo le regole della metrica sillabico-accentativa, è comunque un
tetrametro perché “there” non è accentata). E poi ci sono
quelle parole ed espressioni isolate dal resto: “Yes”, “the
name”, “unwontedly”; e la parola “Adlestrop”, che dovrebbe
essere ridicola e riesce a suonare perfetta. Non c'è quasi bisogno
di sapere che questa poesia esce proprio nel 1917, per sentire che
celebra un mondo amato e lontanissimo.
Ben prima che Edward Thomas elenchi
alberi e piante dell'Inghilterra rurale, ben prima di quegli uccelli
dell'Oxfordshire e Gloucestershire dell'ultimo verso (e il
riferimento alle contee è di per sé nostalgico), la fondamentale
elegiaca è già risuonata all'orecchio del lettore (se quel lettore
è diverso da me, e ha l'orecchio buono). Per questo è sembrato
giusto scrivere e arrangiare una canzone pacata, bucolica,
armonicamente statica.
Buon ascolto.