domenica 3 luglio 2016

John Donne, Break of day (pubbl. 1633)



"Break of day" è una delle poesie più ingegnose della letteratura inglese. Eccola qua:

Break of day

'Tis true, 'tis day; what though it be?
O wilt thou therefore rise from me?
Why should we rise because 'tis light?
Did we lie down because 'twas night?
Love, which in spite of darkness brought us hither,
should in despite of light keep us together.

Light hath no tongue, but is all eye;
If it could speak as well as spy,
This were the worst that it could say,
That being well, I fain would stay,
And that I loved my heart and honor so
That I would not from him, that had them, go.

Must business thee from hence remove?
O, that's the worst disease of love.
The poor, the foul, the false, love can
Admit, but not the busied man.
He which hath business, and makes love, doth do
Such wrong, as when a married man doth woo.

Si leva il giorno

Vero, è giorno: e allora, poi?
Perché dovremmo alzarci noi?
Solo perché non è più notte?
Per la notte si era a letto?
L'amore che con il buio ci ha sorpresi
con la luce deve tenerci presi.

Non ha lingua la luce, solo occhi;
se sapesse anche parlare, oltre che
vedere, direbbe questo:
che stavo bene e sono rimasto,
e avendo a cuore il mio cuore e l'onore
chi li aveva non ho voluto lasciare.

Hai da fare, dici, devi andare?
È il peggior male dell'amore.
I poveri, i brutti, i falsi senz'altro
lo accolgono, non l'uomo occupato.
Chi ha da fare e fa l'amore fa peggio
dell'uomo sposato che un'altra corteggia.

Questa volta la traduzione dev'essere abile, rimata, piena di trucchi e sorprese, per stare dietro alle capacità pirotecniche del poeta. John Donne (1572-1631), poeta londinese, prelato protestante di famiglia cattolica, è uno dei tanti motivi per cui conviene studiare la letteratura inglese. Quando ero studente, il primo poeta che mi ha preso è stato T.S. Eliot - a vent'anni, quando sei convinto di essere molto di più di quello che sei, quando hai le spese pagate ma ti vuoi immaginare unico sopravvissuto in un deserto di anime, Prufrock (1917) e la Waste Land (1922) hanno un fascino pressoché irresistibile. Bene, subito dopo il giovane vecchio che conosceva Ezra Pound e la Woolf è arrivato John Donne - uno che era morto trecentocinquant'anni prima. Eppure, un po' come capita con i sonetti di Shakespeare, nelle sue poesie si entrava senza bisogno di un'introduzione o di una singola nota al margine.

Il perché, a distanza di più di vent'anni, mi è chiarissimo. A noi - eravamo due o tre a scambiarci citazioni, sentendoci grandi intellettuali - non interessavano le ultime poesie di Donne, cristiane e luttuose. Quello che ci affascinava di lui era la capacità di riassumere in pochi versi la cosa che ci interessava più di tutte - più della letteratura o di ogni altra arte: le ragazze, la conquista, il corteggiamento. A me in particolare, confusamente, sembrava che se fossi riuscito a distillare in prosa i ragionamenti in versi del vecchio John, avrei trovato la chiave che cercavo ormai da una decina d'anni, la soluzione a tutti i miei problemi:

I wonder, by my troth, what thou and I
Did, till we loved? Were we not weaned till then,
But sucked on country pleasures, childishly? [...]
And now good morrow to our waking souls,

Mi chiedo, santoddio, cosa abbiamo fatto
io e te, prima? Ancora non svezzati,
in fasce, succhiavamo latte rustico? [...]
E ora buongiorno, nostre anime sveglie,

For God's sake hold your tongue, and let me love
Per Dio, sta' un po' zitto, lasciami amare

Naturalmente non era vero, e sarebbe stato meglio imparare lo spagnolo in vista dei balli latini. Ma intanto, imparando a memoria un incipit, una singola strofa, un verso qua e là, prendevo il ritmo e capivo, piano piano, il gioco di Donne. Che è un poeta barocco, un giocoliere, un amante dello svolazzo, ma a differenza di altri poeti a cui assomiglia e da cui magari ha imparato - Giambattista Marino, per dirne uno italiano - non gioca mai solo per giocare. La sua logica antitetica è ferrea e incalzante come i versi, per lo più divisi in unità logiche e metriche:

Why should we rise / because 'tis light?
Did we lie down / because 'twas night?

Ma dietro a questa logica ferrea - e qui entra in gioco come al solito l'imponderabile, quel che si può illustrare ma non dimostrare - si sente che c'è qualcosa di vero, una donna amata, il vero dispiacere di vederla andare via la mattina, perché il mondo chiama e lei, dice, ha da fare.

La canzone questa volta ricalca la logica e la versificazione di Donne, invece di forzarla. I tetrametri dei primi quattro versi di ogni strofa vengono divisi in due. Le frasi della linea melodica, qui, sono scandite e tronche. I due versi conclusivi, invece, più lunghi (pentametri) e discorsivo/amorosi, vengono ripetuti e lasciati andare un po' di più. Per il resto, nell'arrangiamento, poche decorazioni progressive, come a sottolineare il procedere dell'argomentazione. John Donne, alla fine, vale la pena seguirlo: ha sempre ragione lui.

Buon ascolto.

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