lunedì 11 aprile 2016

William Shakespeare - Sonnet 18




Il sonetto XVIII di Shakespeare ("Shall I compare thee to a summer's day?"), secondo me, è una delle prime poesie moderne della letteratura inglese. Dal momento che "moderno" di per sé non vuol dir niente, e che è un termine di cui si abusa, spiegherò in breve quel che voglio dire. Se uno prende un sonetto della stessa epoca, scritto da uno dei grandi sonettisti di fine Cinquecento, ci trova dentro una voce completamente diversa.

   Loving in truth, and fain in verse my love to show,
   That the dear she might take some pleasure of my pain,
   Pleasure might cause her read, reading might make her know,
   Knowledge might pity win, and pity grace obtain,
      I sought fit words to paint the blackest face of woe:

Questa è la prima quartina, più un verso (altrimenti non si chiudeva il discorso), del primo sonetto di Astrophil and Stella di Philip Sidney - non l'ultimo arrivato. È un'ottima esercitazione di petrarchismo - l'amore infelice che si traduce in versi composti e armoniosi. Se però confrontiamo questi cinque versi con la prima quartina di Shakespeare, è come fare un balzo nell'iperspazio:

   Shall I compare thee to a summers day?
   Thou art more lovely and more temperate.
   Rough winds do shake the darling buds of May,
   And summer's lease hath all too short a date.

Perché Shakespeare suona diverso? Perché questo tizio - la persona poetica del sonetto - ci sembra di conoscerlo attraverso il testo, mentre l'altro dava l'impressione di ripetere, un po' stancamente, un modello creato altrove?

Non c'è una singola risposta a questa domanda - ma per ora proverò a darne due, rapidissime. 1) la persona poetica di Shakespeare è per l'appunto una maschera, un personaggio. Ce lo immaginiamo perché non ripete frasi sentite da altri (anche se Sidney, nel tardo Cinquecento inglese, credo suonasse molto più nuovo rispetto a ora), ma parla a modo suo, a partire da quella domanda retorica iniziale che ce lo fa visualizzare meditabondo ("aspetta un po', a cosa potrei paragonarti?"). 2. Il sonetto dice cose strane - il che, di nuovo, ci fa tornare al punto 1, alla creazione di un personaggio dotato di vita, lingua e modi propri. Iniziare con una domanda retorica è strano. Usare una metafora presa dal campo semantico della locazione immobiliare ("summer's lease") è strano, per gli anni Novanta del Cinquecento (la pubblicazione è del 1609, ma la composizione è precedente). Dire che la persona di cui si parla crescerà "verso il tempo", o "fino a diventare il tempo" (il verso 12: "When in eternal lines to time thou grow'st"), è molto strano. Scrivere un sonetto per celebrare la bellezza di un uomo - perché di questo si parla nel sonetto XVIII - è stranissimo, sul finire del sedicesimo secolo.

Per questo, le traduzioni "filologiche" e "poetiche" di cui abbonda la nostra letteratura mi hanno sempre lasciato un po' insoddisfatto. Ecco qua l'originale, intero, con una traduzione "teatrale" fatta da me. Le rime/assonanze/consonanze non le ho cercate a forza, a parte il distico finale (lo schema del sonetto inglese è ABBA CDDC EFFE GG).

   Shall I compare thee to a summer's day?
   Thou art more lovely and more temperate.
   Rough winds do shake the darling buds of May,
   And summer's lease hath all too short a date.
   Sometime too hot the eye of heaven shines,
   And often is his gold complexion dimmed,
   And every fair from fair sometime declines,
   By chance or nature's changing course untrimmed;
   But thy eternal summer shall not fade
   Nor lose possession of that fair thou ow'st,
   Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
   When in eternal lines to time thou grow'st.
   So long as men can breathe or eyes can see,
   So long lives this, and this gives life to thee.

   Paragonarti a un giorno estivo?
   Tu sei più dolce e temperato.
   Il vento scuote i fiori, a maggio,
   e l'affitto dell'estate scade presto.
   A volte l'occhio del cielo è là che brilla,
   spesso ha opaco, non dorato, il colorito;
   tutte le cose belle dopo un po' lo sono meno,
   per caso o per capriccio di natura;
   ma la tua estate eterna non finisce
   e non smarrisce mai la tua bellezza;
   la morte non si vanterà di averti preso,
   perché con questi versi eterni batti il tempo.
   Finché gli uomini vedono e hanno fiato,
   vive anche questo, e questo ti dà vita.

Mettere il sonetto in musica viene naturale - anche se i sonetti mancano di ritornello, e quindi ho isolato e ripetuto i primi due versi. A parte queste modifiche strutturali, bisogna trovare il ritmo e la melodia giusti, da tarda primavera o inizio estate. Dopodiché si tratta di seguire, pur modificandoli, gli accenti interni ai versi, che sono mutevoli e sempre interessanti. Sì, in teoria il sonetto è scritto nel verso principe della poesia inglese moderna, il pentametro giambico (ovvero cinque piedi di due sillabe, la prima non accentata e la seconda sì). In pratica, com'è normale se la poesia non è una filastrocca, già gli accenti del primo verso si dispongono in altra maniera. Non si legge quindi:

   Shall Ì compàre thee tò a sùmmer's dày (ta-tà | ta-tà | ta-tà | ta-tà | ta-tà)

ma, fra accenti primari e secondari, qualcosa come:

   Shàll Ì compàre thèe to a sùmmer's dày

e siccome nella frase musicale gli accenti si spostano, la canzone fa così:

   Shall I compàre thèe to a sùmmer's dày

Buon ascolto.

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