domenica 24 aprile 2016

Thomas Wyatt - Whoso list to hunt




Questa seconda poesia-canzone è una traduzione - la versione di Sir Thomas Wyatt (1503-1542) del sonetto 190 di Petrarca. Tuttavia, strano a dirsi, non basta metterla di fianco al sonetto originale ("Una candida cerva sopra l'erba") per capirla. Il termine traduzione, nel Cinquecento inglese, copriva una serie di pratiche che noi oggi chiameremmo riscritture o parafrasi. La letteratura inglese stava (ri)nascendo, e aveva bisogno di ingoiare i grandi autori classici e contemporanei, risputandoli poi a modo suo. Nell'Europa del Cinquecento, pochi scrittori "moderni", forse nessuno, erano più grandi di Petrarca. I gentiluomini lo leggevano in italiano, e quindi tradurlo serviva più a fondare una tradizione sonettistica che a portare il poeta italiano in Inghilterra.

Chi vuole confrontare Wyatt con Petrarca può farlo facilmente per conto suo. Qui sotto metto il sonetto inglese con una mia traduzione italiana un po' modernizzante.

Whoso list to hunt, I know where is an hind,
But as for me, alas, I may no more.
The vain travail hath wearied me so sore
I am of them that farthest cometh behind.
Yet may I by no means, my wearied mind
Draw from the deer, but as she flieth afore,
Fainting I follow. I leave off therefore,
Since in a net I seek to hold the wind.
Who list her hunt, I put him out of doubt,
As well as I, may spend his time in vain.
And graven with diamonds in letters plain
There is written, her fair neck round about,
"Noli me tangere, for Caesar's I am,
And wild for to hold, though I seem tame."

Se c'è chi vuol cacciare, so dov'è una cerva -
che io, ahimè, non ce la faccio più.
Tenerle dietro mi ha sfinito a tal punto
che sono di quelli che restano più indietro.
Ma non posso lo stesso rivolgere il pensiero
se non alla cerva che fugge là davanti,
e la seguo senza forze. Perciò mi arrendo -
non si può prendere il vento col retino.
Chi la vuol prendere, gli tolgo tutti i dubbi,
è facile che come me perda del tempo.
Al bel collo la cerva, fatta di diamanti,
porta una scritta incisa, bella chiara:
"Noli me tangere, perché sono di Cesare,
e sembro mansueta, ma sono selvatica."


Wyatt è uno dei padri della poesia inglese moderna - un centinaio delle sue poesie entrarono, a quindici anni dalla morte, nella cosiddetta Tottel's Miscellany del 1557. In questa traduzione si vedono sia i suoi limiti (che sono i limiti di un'epoca) sia i suoi pregi (che sono dell'epoca ma anche figli del suo talento). Rispetto al sonetto petrarchesco, a qualunque sonetto petrarchesco, questa versione inglese è meno scorrevole. Già la struttura della poesia (tre quartine e un distico, contro l'ottava+sestina del sonetto italiano) è più spezzata e meno discorsiva. Ma in realtà sono i versi di Wyatt a essere più separati fra loro (end-stopped) di quelli di Petrarca - talmente scanditi che molto spesso si dividono chiaramente in due emistichi che corrispondono a unità sonore e grammaticali:

Whoso list to hunt | I know where is an hinde
But as for me, alas | I may no more

Per contro, però, questa scansione così chiara, quasi ripetitiva, dà un'energia al sonetto che Petrarca (maestro della versificazione armoniosamente continuata) non si sogna neanche. Grazie alle allitterazioni e all'uso quasi esclusivo di monosillabi di origine germanica - che ci fanno capire come Wyatt sia ancora in qualche modo in contatto con la poesia anglosassone e medio-inglese - i versi acquistano una forza esplosiva e propulsiva notevole. E forse non è un caso che mentre la poesia di Petrarca è contemplativa ("Una candida cerva sopra l'erba / verde m'apparve [...]"), quella di Wyatt è attiva e dinamica: lui non avrà più la forza di darle la caccia, ma noi la cerva e l'inseguimento ce li immaginiamo lo stesso.

Metterla in musica, una poesia così, è un piacere e un divertimento. A parte un paio di ripetizioni (il primo verso, il distico finale), non c'è stato bisogno di cambiare niente. L'unica cosa che chiedevano, questi versi, era il movimento - e quindi il primo strumento ad andare in registrazione è stato il rullante. Anche i versi della canzone, come quelli della poesia, si sono spesso divisi in emistichi: questo, oltre che di rendere più incalzante la linea melodica, ha permesso a chi canta di indugiare su frasi splendide come "Since in a net I seek to hold the wind". C'è tutto Wyatt e niente Petrarca, nel settimo verso: il ritmo dei tre piedi giambici finali ("I seek to hold the wind"); l'energia anglosassone dei monosillabi; il misto di sibilanti (since, seek), nasali (net, wind) semiconsonanti (wind), aspirate (hold) e vocali che dà l'idea del vento inafferrabile, con quel suono occlusivo <k>  buttato là in mezzo a ricordarci la fatica della caccia (seek).

E anche la parola "hind", a pensarci bene, è splendida - e il fatto stesso che l'inglese, a differenza dell'italiano, abbia una parola per la femmina del cervo. E quel finale così erotico: "And wild for to hold, though I seem tame". Sarà meno elegante di Petrarca, Wyatt, ma davvero ha l'energia giovanile di un paese in ascesa.

Se vi va, provate a leggere la poesia ad alta voce. Poi potete sentire la canzone, se non l'avete già fatto prima di leggere.

Buon ascolto.

lunedì 11 aprile 2016

William Shakespeare - Sonnet 18




Il sonetto XVIII di Shakespeare ("Shall I compare thee to a summer's day?"), secondo me, è una delle prime poesie moderne della letteratura inglese. Dal momento che "moderno" di per sé non vuol dir niente, e che è un termine di cui si abusa, spiegherò in breve quel che voglio dire. Se uno prende un sonetto della stessa epoca, scritto da uno dei grandi sonettisti di fine Cinquecento, ci trova dentro una voce completamente diversa.

   Loving in truth, and fain in verse my love to show,
   That the dear she might take some pleasure of my pain,
   Pleasure might cause her read, reading might make her know,
   Knowledge might pity win, and pity grace obtain,
      I sought fit words to paint the blackest face of woe:

Questa è la prima quartina, più un verso (altrimenti non si chiudeva il discorso), del primo sonetto di Astrophil and Stella di Philip Sidney - non l'ultimo arrivato. È un'ottima esercitazione di petrarchismo - l'amore infelice che si traduce in versi composti e armoniosi. Se però confrontiamo questi cinque versi con la prima quartina di Shakespeare, è come fare un balzo nell'iperspazio:

   Shall I compare thee to a summers day?
   Thou art more lovely and more temperate.
   Rough winds do shake the darling buds of May,
   And summer's lease hath all too short a date.

Perché Shakespeare suona diverso? Perché questo tizio - la persona poetica del sonetto - ci sembra di conoscerlo attraverso il testo, mentre l'altro dava l'impressione di ripetere, un po' stancamente, un modello creato altrove?

Non c'è una singola risposta a questa domanda - ma per ora proverò a darne due, rapidissime. 1) la persona poetica di Shakespeare è per l'appunto una maschera, un personaggio. Ce lo immaginiamo perché non ripete frasi sentite da altri (anche se Sidney, nel tardo Cinquecento inglese, credo suonasse molto più nuovo rispetto a ora), ma parla a modo suo, a partire da quella domanda retorica iniziale che ce lo fa visualizzare meditabondo ("aspetta un po', a cosa potrei paragonarti?"). 2. Il sonetto dice cose strane - il che, di nuovo, ci fa tornare al punto 1, alla creazione di un personaggio dotato di vita, lingua e modi propri. Iniziare con una domanda retorica è strano. Usare una metafora presa dal campo semantico della locazione immobiliare ("summer's lease") è strano, per gli anni Novanta del Cinquecento (la pubblicazione è del 1609, ma la composizione è precedente). Dire che la persona di cui si parla crescerà "verso il tempo", o "fino a diventare il tempo" (il verso 12: "When in eternal lines to time thou grow'st"), è molto strano. Scrivere un sonetto per celebrare la bellezza di un uomo - perché di questo si parla nel sonetto XVIII - è stranissimo, sul finire del sedicesimo secolo.

Per questo, le traduzioni "filologiche" e "poetiche" di cui abbonda la nostra letteratura mi hanno sempre lasciato un po' insoddisfatto. Ecco qua l'originale, intero, con una traduzione "teatrale" fatta da me. Le rime/assonanze/consonanze non le ho cercate a forza, a parte il distico finale (lo schema del sonetto inglese è ABBA CDDC EFFE GG).

   Shall I compare thee to a summer's day?
   Thou art more lovely and more temperate.
   Rough winds do shake the darling buds of May,
   And summer's lease hath all too short a date.
   Sometime too hot the eye of heaven shines,
   And often is his gold complexion dimmed,
   And every fair from fair sometime declines,
   By chance or nature's changing course untrimmed;
   But thy eternal summer shall not fade
   Nor lose possession of that fair thou ow'st,
   Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
   When in eternal lines to time thou grow'st.
   So long as men can breathe or eyes can see,
   So long lives this, and this gives life to thee.

   Paragonarti a un giorno estivo?
   Tu sei più dolce e temperato.
   Il vento scuote i fiori, a maggio,
   e l'affitto dell'estate scade presto.
   A volte l'occhio del cielo è là che brilla,
   spesso ha opaco, non dorato, il colorito;
   tutte le cose belle dopo un po' lo sono meno,
   per caso o per capriccio di natura;
   ma la tua estate eterna non finisce
   e non smarrisce mai la tua bellezza;
   la morte non si vanterà di averti preso,
   perché con questi versi eterni batti il tempo.
   Finché gli uomini vedono e hanno fiato,
   vive anche questo, e questo ti dà vita.

Mettere il sonetto in musica viene naturale - anche se i sonetti mancano di ritornello, e quindi ho isolato e ripetuto i primi due versi. A parte queste modifiche strutturali, bisogna trovare il ritmo e la melodia giusti, da tarda primavera o inizio estate. Dopodiché si tratta di seguire, pur modificandoli, gli accenti interni ai versi, che sono mutevoli e sempre interessanti. Sì, in teoria il sonetto è scritto nel verso principe della poesia inglese moderna, il pentametro giambico (ovvero cinque piedi di due sillabe, la prima non accentata e la seconda sì). In pratica, com'è normale se la poesia non è una filastrocca, già gli accenti del primo verso si dispongono in altra maniera. Non si legge quindi:

   Shall Ì compàre thee tò a sùmmer's dày (ta-tà | ta-tà | ta-tà | ta-tà | ta-tà)

ma, fra accenti primari e secondari, qualcosa come:

   Shàll Ì compàre thèe to a sùmmer's dày

e siccome nella frase musicale gli accenti si spostano, la canzone fa così:

   Shall I compàre thèe to a sùmmer's dày

Buon ascolto.